Come scrivere un case study per raccontare l’esperienza dei tuoi clienti
#5 WordLift intervista Sam Isma
La nostra storia
+42% sul numero di nuovi utenti provenienti da Google, +88% sulle pagine viste e +17% sul tempo speso in pagina. Queste le metriche che avevamo davanti agli occhi dopo circa un anno di lavoro con WordLift sul sito di un piccolo business, Tao Roma.
Erano risultati notevoli, davvero. Pensavamo che scrivere un case study con questi numeri avrebbe subito attirato l’attenzione di nuovi potenziali clienti. Dopo tutto, chi non vuole vedere il proprio traffico organico crescere?
Ci siamo dovuti ricredere: la storia dell’attività di Oscar Valentini non ha fatto le faville che immaginavamo. Non solo non ci ha aiutati a trovare altri clienti, ma non ha nemmeno rappresentato un’occasione per far nascere una conversazione con i nostri potenziali clienti.
Eppure, era un’ottima storia. E la colpa non era certo di Oscar. Molti mesi dopo l’abbiamo invitato a partecipare al WordCamp Roma, dove ha raccontato come ha organizzato millenni di conoscenza nel suo blog. La platea era incantata.
Torniamo alla nostra case study. Cosa abbiamo sbagliato?
La case study di Tao Roma, in realtà, non era la storia di Oscar Valentini e della sua impresa. Era la storia dell’effetto-WordLift applicato a Tao Roma.
L’avevamo raccontata male. Partivamo dall’assunto che le persone volessero vedere i risultati, quindi abbiamo scritto un pezzo tutto basato su numeri, grafici e percentuali. Ci siamo resi conto troppo tardi che, al secondo grafico, gli occhi del nostro lettore medio stavano già ballando. ?
La verità è che i numeri non sono sexy – se non sei un appassionato di matematica. (È forse un peccato, ma è piuttosto raro che chi lavora sui contenuti di un sito web abbia il pallino della matematica.)
Le storie di successo, quelle sono sexy. Sono le storie a ispirarci e a farci trovare il coraggio di proseguire con la nostra impresa.
Così, abbiamo cambiato registro.
Abbiamo provato a mettere al centro della scena il nostro cliente. D’altra parte, lo stavamo già facendo: avevamo creato un canale Slack con il quale dialogare con i nostri clienti, Gennaro lavorava instancabilmente e per ascoltare ogni loro bisogno e riportarlo al team di sviluppo. Conoscevamo i nostri clienti uno per uno – o quasi.
Quando abbiamo contattato Sam Isma per scrivere la case study di FREEYORK, avevamo già in mente quello che sarebbe potuto essere il nostro pezzo. Volevamo scrivere la storia dell’editore di un blog di successo internazionale che usa l’intelligenza artificiale per ottimizzare il suo lavoro.
Ne è venuta fuori un’appassionante intervista, nella quale Sam ci ha raccontato come ha integrato l’intelligenza artificiale nelle varie fasi del flusso editoriale di FREEYORK, dalla scrittura all’ottimizzazione, passando per l’editing.
Dentro l’intervista c’era il progetto editoriale, c’era la storia di Sam, c’erano i suoi desideri, c’era persino una foto della redazione che faceva pensare a tutto, tranne che a un lavoro noioso dietro allo schermo di un computer.
Avevamo descritto uno stile di vita.
E il prodotto? WordLift è presente nell’articolo come l’intelligenza artificiale che ottimizza il posizionamento su Google. Insomma, è l’oggetto magico che il nostro eroe sta usando per raggiungere più lettori e dare sostanza al suo sogno.
E per chi ama i numeri, abbiamo pubblicato un approfondito paper che analizza la differenza tra le performance dei contenuti annotati con WordLift e di quelli non annotati. Se ami i numeri, è un’ottima lettura.
Ha funzionato. La storia di Sam ha ottenuto molto interesse sui social media, ci ha dato una mano nell’acquisizione di nuovi clienti ed è stata apprezzata persino da Scott Abel, uno dei maggiori influencer americani nell’ambito del content marketing.
Naturalmente, abbiamo impiegato un bel po’ di tempo a ottimizzare e soprattutto a condividere il contenuto attraverso vari canali: la nostra newsletter, per cominciare, canali e gruppi social e anche email dirette a persone che potevano davvero restare colpite. Anche Sam ci ha dato una bella mano nella disseminazione del contenuto, perché sentiva quella storia davvero sua.
Per finire, il nostro CEO, Andrea Volpini, ha portato il paper alla conferenza SEMANTiCS 2017, ma questa è un’altra storia… ?
Cosa c’è da imparare
- La chiave per scrivere un case study è la storia del tuo cliente. È lui l’eroe della storia.
- Se non è protagonista, il tuo prodotto può essere l’oggetto magico che permette all’eroe di raggiungere i suoi obiettivi e trasformare il mondo ordinario (già che ci siamo, se vuoi scrivere la storia del tuo cliente, dai un’occhiata al Viaggio dell’Eroe di Christopher Vogler).
- Investi una buona parte delle tue energie nell’ottimizzazione e nella condivisione del contenuto che hai preparato. Senza un lettore dall’altra parte, il tuo lavoro è inutile.
- Se il tuo cliente sentirà sua la storia che hai scritto, probabilmente sarà orgoglioso di condividerla e questo aumenterà l’esposizione del contenuto.
Questo articolo è parte di una serie che abbiamo intitolato Guida galattica per startupper italiani che ripercorre le tappe principali del nostro primo anno da startup.